"Fai la fine di Saman Abbas". Con queste parole un 53enne pakistano minacciava la propria figlia, appena ventenne, se non avesse fatto ciò che lui voleva. La vicenda si svolge fatalmente negli stessi luoghi che hanno fatto da sfondo all'omicidio della 18enne, scomparsa il 1 maggio 2021 da Novellara e uccisa dal clan familiare perché voleva vivere la propria vita in libertà, senza le costrizioni della famiglia che per lei voleva un matrimonio combinato. Un destino molto simile a quello della giovane pakistana che, però, è stata salvata dagli assistenti sociali.
La vicenda inizia da lontano, era il 2008 quando la giovane inizia a subire i maltrattamenti del padre, che si sono protratti fino al 2023. Una volta ottenuta licenza di terza media, l'uomo ha imposto alla figlia di interrompere gli studi, impedendole di uscire e di svolgere una vita regolare. Non ha potuto cercare lavoro e ha vissuto per anni nella paura di un padre il cui unico obiettivo era darla in sposa a un uomo scelto da lui. La ragazza viveva in casa con il padre, con la sua seconda moglie e con i figli avuti da questo matrimonio: sua madre, secondo quanto dichiarato dal padre, sarebbe deceduta per cause naturali subito dopo la sua nascita ma il contesto familiare non è particolarmente chiaro. Infatti, stando a quanto racconta la giovane vittima, il padre l’ha costretta a contrarre un matrimonio a distanza con un cugino mai visto, ritenuto figlio dello zio responsabile dell’omicidio della madre naturale. Fino a quando gli assistenti sociali non l'hanno salvata, alla ragazza era stato impedito di vivere come tutte le sue coetanee in quanto le veniva imposto di tenere comportamenti "adeguati" alla religione musulmana.
Le era inoltre proibito fidarsi degli assistenti sociali che la seguivano, ai quali aveva raccontato che il padre l’aveva minacciata prospettandole un viaggio in Pakistan, circostanza che la spinse a richiedere il collocamento in comunità. Anche perché l'uomo, in più di un'occasione, l'ha minacciata di fare la stessa fine della sua connazionale se si fosse opposta al matrimonio e al rientro in Pakistan. Ora l'uomo si trova in carcere per scontare una pena di un anno, 11 mesi e 10 giorni di carcere senza sospensione condizionale della pena. Per lui e per la seconda moglie l'accusa è di maltrattamenti in famiglia e, solo per il padre, per costrizione o induzione al matrimonio. È l'ennesimo caso di costrizioni e violenze in una famiglia musulmana che, fortunatamente, stavolta si è risolto senza tragedie. Ma di queste situazioni, purtroppo, ce ne sono ancora troppe, anche nel nostro Paese.