La colpa è sempre individuale. Anche nel "femminicidio"

Scritto il 24/11/2025
da Vittorio Feltri

Caro direttore sono un quasi tuo coetaneo e ho il piacere di condividere tutto quanto tu scrivi e le risposte che dai nella tua rubrica sul giornale. Oggi ho visto nel Tg5 delle ore 13 il servizio relativo alla condanna di quel vigile che aveva ucciso l'amante. Durante il servizio la madre della vittima rilascia alcune dichiarazioni e nel finale afferma: «quando la società fallisce la colpa è di tutti noi». Ma che colpa ne ho io se la figlia era diventata l'amante di un suo collega molto più anziano e pure coniugato e se i due praticavano sesso estremo. Dall'alto della Tua saggezza dimmi se sbaglio a sentirmi indignato per quanto dichiarato dalla madre, o se è colpa della società il comportamento della vittima.

Davide Freccero
Genova

Caro Davide, ti ringrazio per la stima e per la pazienza con cui segui ciò che scrivo ogni giorno. Mi offri l'occasione per fare chiarezza su una vicenda che, come troppe ormai, viene manipolata e deformata da un linguaggio ipocrita, utile soltanto a scaricare le colpe dell'assassino su entità astratte come la società, il patriarcato, il clima, la cultura. Una follia che purtroppo prende piede, perché assolve tutti e non responsabilizza nessuno. I fatti, prima di tutto. Stiamo parlando del caso di un agente della Polizia Locale che ha ucciso la sua amante, una donna molto più giovane di lui, con la quale intratteneva una relazione sentimentale e sessuale da tempo. Durante il servizio del Tg5 a cui fai riferimento, la madre della vittima ha dichiarato: «Quando la società fallisce, la colpa è di tutti noi». Una frase che, lo capisco bene, può suscitare indignazione. Perché sposta il discorso su un piano collettivo, quasi metafisico, e sottrae il responsabile alla sua responsabilità individuale. E qui bisogna essere precisi, una volta per tutte: la responsabilità penale è personale. Lo dice la legge, ma soprattutto lo impone il buonsenso. Nessuna società ha premuto il grilletto. Nessuna cultura ha costretto quell'uomo a comportarsi come un delinquente. C'è una persona che ha ucciso un'altra persona.

Fine.

Che poi la vittima fosse l'amante di un uomo sposato e più anziano è un dettaglio irrilevante ai fini della giustizia.

La moralità della giovane non è in discussione: era libera di fare le sue scelte, libere o discutibili che fossero. Ma nessuna scelta affettiva o sessuale espone una donna, o un uomo, al rischio di essere uccisa. Questa logica del se l'è cercata, che ogni tanto riemerge, va respinta con forza. La libertà personale non è una provocazione né un movente.

Detto questo, occorre anche respingere l'altra narrazione, ugualmente tossica, che ci vuole tutti colpevoli. Oggi è diventato di moda attribuire ogni femminicidio alla società malata, al sistema, agli uomini in generale. Un meccanismo comodo: se sono tutti colpevoli, allora nessuno lo è davvero. Se la responsabilità è del genere maschile nel suo complesso, l'assassino diventa quasi una comparsa, una pedina del destino. È un modo per diluire la responsabilità, per distruggere il principio stesso di colpa individuale. La società non spara. La società non strangola. La società non prepara un'imboscata. Lo fa un individuo, che deve rispondere delle sue azioni fino all'ultimo centimetro. Attribuire la colpa a tutti noi, come dice la madre della vittima, significa in realtà non attribuirla più a nessuno. E in questo grande polverone pagano le vittime, sempre. Perché perdono giustizia e perdono verità.

La verità è semplice, terra terra: questo delitto è responsabilità esclusiva dell'uomo che lo ha commesso. Non della collettività, non della cultura, non degli uomini come categoria. Non c'è alcuna ragione per cui tu, io o chiunque altro dobbiamo sentirci imputati in un processo morale che non ci riguarda. Il dolore di una madre lo capisco e non lo giudico. Ma il ragionamento civile, giuridico e politico deve restare aderente ai fatti: una persona ha ammazzato un'altra persona. La colpa non si redistribuisce.