«Vai a lavorare, lazzarone». Non è un insulto da bar né il grido di un facchino esasperato. È la risposta glaciale con cui Flavio Cattaneo, ceo del gruppo Enel, ieri ha asfaltato Carlo Calenda, eterno ex ministro, ex alleato di chiunque, ex speranza liberal e attuale polemista seriale della scena pubblica. L'ultimo show del leader di Azione è andato in scena ieri al Forum Coldiretti, dove Calenda si è scagliato contro Enel e il suo ceo, accusando l'azienda di fare «il 42% di utile come Hermes» grazie alle bollette degli italiani. E, sparando numeri a caso, giù bordate: bonus milionari, nessun rischio d'impresa, perfino l'offesa a Cattaneo di essere un cafone e di aver fatto quasi fallire Tim.
Ora, serve davvero una pazienza zen per reggere il fiume in piena delle semplificazioni di Calenda, peraltro non nuovo su queste scene. Ma Cattaneo non è tipo da incassare in silenzio. La replica immediata è chirurgica: «Io ho da lavorare, purtroppo. Ognuno ha il suo. Vai a lavorare, lazzarone». E subito dopo, con una precisione che smonta ogni millanteria, ricorda che non prende alcun bonus sulla distribuzione, che Enel non fa il 40% degli utili sui ricavi, e che sotto la sua guida il gruppo Tim ha registrato i migliori bilanci degli ultimi vent'anni. Ma la vera staffilata arriva quando Cattaneo annuncia una causa milionaria contro Calenda: se il senatore perderà e i numeri sono contro di lui i soldi del risarcimento saranno usati per abbassare le bollette degli italiani.
Ecco: in quel momento, anche le parole diventano fatti. Cosa che a Calenda non capita spesso. E già che si parla di chi «stava per far saltare una società», sarebbe il caso di rinfrescare la memoria a Calenda. Quando sedeva nel cda di Italo, non fece nulla sì, lui, il paladino dell'efficienza per impedire operazioni che rischiavano di affossare la società. Poi arrivò Cattaneo, che prese in mano le redini dell'azienda e la trasformò in uno dei casi di maggior successo nel trasporto italiano.
Un dettaglio, certo. Ma i fatti, a differenza dei tweet, restano. D'altronde, Calenda vive in una comfort zone fatta di dichiarazioni muscolari, attacchi a effetto, crociate contro tutto e tutti. Un giorno è contro Meloni, il giorno dopo insulta Renzi, il terzo spara su Draghi o contro chiunque osi lavorare e produrre utili. La coerenza? Optional. Il realismo? Irreperibile. E così eccoci all'ennesima farsa. Calenda che accusa, si autoassolve, e sempre si presenta come l'unico uomo onesto della politica italiana. Peccato che il Paese intanto vada avanti grazie a chi lavora davvero. E ottiene risultati.
Il problema di Calenda non è solo la lingua più veloce del pensiero. È che, in fondo, non ha mai saputo scegliere se essere un tecnico o un tribuno, un manager o un urlatore, un riformista o un incendiario. Nel dubbio, resta incagliato nel ruolo di commentatore seriale. Con un partito personale, un ego smisurato e un curriculum che, a dispetto delle sue stesse narrazioni, non regge il confronto con nessuno dei suoi bersagli.