Qual è il vero obiettivo di Donald Trump riguardo la guerra in Ucraina? Il continuo alternarsi di dichiarazioni contraddittorie dell'amministrazione Usa confonde osservatori e lettori di giornali: un giorno Trump si comporta da compagno di merende del dittatore di Mosca, stendendogli il tappeto rosso in Alaska, due mesi dopo lo colpisce con sanzioni destinate ad azzoppare il suo strategico export di petrolio e fa trapelare di non escludere di fornire all'Ucraina i micidiali missili Tomahawk col permesso di lanciarli in Russia, poi ci ripensa ancora e salta fuori con un "piano di pace" che è quasi la fotocopia delle pretese più estreme del Cremlino e ingiunge a Zelensky di accettarlo entro sei giorni pena lasciarlo in braghe di tela nel gelido inverno di fronte all'invasore russo.
Non parliamo del segretario di Stato Marco Rubio, che in privato con i senatori repubblicani meno disposti a fare pappa e ciccia con un criminale di guerra nemico dell'Occidente ammette che quello di Steve Witkoff altro non è che l'elenco dei desideri di Putin, poi in pubblico si rimangia tutto e afferma che quel piano è stato compilato "tenendo conto delle discussioni con gli ucraini": davvero non si direbbe, visto che i famosi 28 punti equivalgono a un prontuario di capitolazione per Kiev. Ma bisogna capirlo, il giovane Rubio: pensa alla sua carriera politica. A suo tempo, per non fare la misera fine di Nikki Haley che osò sfidare Trump alle primarie repubblicane per le presidenziali 2024, ha giurato fedeltà al capo Maga e ora si barcamena buttando lì ogni tanto qualche cauto segnale di indipendenza, che potrebbe (chissà mai) servirgli in un imprevedibile futuro post trumpiano.
Diciamolo una volta per tutte. Questo apparente alternarsi di posizioni è solo fumo negli occhi. Trump ha l'unica bussola del denaro e della vanagloria personale, e Zelensky ha purtroppo ragione a vivere nell'angoscia. Al tycoon della Casa Bianca, e tantomeno agli yesmen che si è scelto come collaboratori, dal vicepresidente Vance, al capo del Pentagono Hegseth fino al cosiddetto mediatore Witkoff, nulla importa infatti dei valori comuni dell'Occidente liberaldemocratico. Aggressore e aggredito per loro nemmeno pari sono: stanno volentieri dalla parte di Putin, e nei prossimi giorni l'Ucraina potrà solo sperare in qualche ritocco del piano Witkoff o, in alternativa, nella fattiva solidarietà europea.
Le ragioni di questa scelta di campo sono note da tempo. A Trump importa zero dell'alleanza con gli europei, che vede semmai da sempre come rivali geopolitici e commerciali. Finge il contrario quando gli conviene, ma gli va benissimo spartirsi il mondo in zone d'influenza con Putin e Xi Jinping. Gli importa altresì moltissimo di riavviare il business con una Russia guidata da quello che Biden definiva (con piena ragione) un killer, e che egli considera invece un partner ideale, essendo cinico e narcisista come lui: e sa bene che non mancherà una ricca fetta di guadagni per sé e per i suoi familiari e sodali.
Trump ha infine il chiodo fisso di passare alla storia come il Grande Pacificatore che non è, oscurando il detestato Barack Obama. Non importa se la sua "pace in Ucraina" sarebbe una porcheria che aprirebbe la porta alla peggior instabilità in Europa: purché si possa dire che si è smesso di sparare per un po' grazie a lui. Poi saranno affaracci altrui. Nostri, per la precisione.

